(All rights reserved) Foto di Andrea Sanfilippo.
Il
sole sta per tramontare dietro le colline pietrose di Muscat.
Grida
di incoraggiamento, di gioia, di sconfitta provengono da uno spazio al di là di
un muro. Ci avviciniamo ad un’apertura nella parete di cemento, un omone dal
viso nero sbuca dalla grossa fenditura e ci incita ad entrare.
Scavalchiamo
e davanti a noi si apre un campo di terreno delimitato da pietre e piccoli ciottoli:
è in corso una partita di calcio dove due squadre miste di arabi, nigeriani ed
indiani, con le maglie dei loro idoli, si battono per la vittoria, guidati dai
rispettivi irruenti allenatori.
Assistiamo
all’incontro accanto ad una scarna ma caldissima tifoseria fino a quando il
canto del Muezzin inizia a risuonare tra le strade della capitale.
I
giocatori si fermano di colpo, come al fischio dell’arbitro che annuncia il
termine della partita. Un arabo che, con il suo bambino, ha seguito con noi la
partita ci guarda e, sorridendo, ci spiega in un perfetto inglese che è
arrivato il momento della preghiera.
Siamo
in Oman. Quando la Moschea chiama, anche il calcio, sport molto amato, si
ferma.
Ritorniamo
anche noi sulla strada principale mentre i calciatori e i loro tifosi si
affrettano verso la vicina Moschea. Salgono rapidi le scale, lasciano le scarpe
all’esterno e si accingono ad entrare per inginocchiarsi e pregare il loro Dio.
Non
possiamo entrare durante la preghiera: non siamo musulmani. Restiamo fuori alla
grande struttura, dal cui minareto decorato, grossi altoparlanti diffondono il
canto liturgico.
Una cantilena intensa, coinvolgente, persuasiva, che riempie l'aria, i cuori e che ti fa comprendere quanto sia dirompente la forza del loro credo.
Una cantilena intensa, coinvolgente, persuasiva, che riempie l'aria, i cuori e che ti fa comprendere quanto sia dirompente la forza del loro credo.
Saliamo
su un taxi. Il tassista recita a bassa voce qualche verso del Corano. Durante le
ore di lavoro – ci spiega – i credenti sono esentati dalla preghiera in Moschea,
ma lui come molti partecipa comunque spiritualmente a questi momenti.
Gli
Omaniti amano parlare, amano raccontarsi, condividere il loro mondo e conoscere
il tuo. L’ospitalità è parte della loro cultura e, con i loro visi aperti, il
loro sorriso e la loro affabilità riescono a darne prova in ogni circostanza.
Un’ospitalità ed una genuinità che non sono state strappate via dalla forte
modernizzazione del paese.
Dopo
un passato glorioso ed un periodo di involuzione nei primi del Novecento,
l’Oman vive oggi un nuovo momento d’oro. Il Sultano Qabus bin Said che ha
governato negli ultimi quarant’anni ha abbandonato la politica restrittiva e
conservativa del suo predecessore in favore di una politica intesa ad una maggiore democratizzazione e alla crescita sociale
ed economica del sultanato.
Ne
parliamo con Stanley, un trentenne originario dell’India, da diversi anni in
Oman. Lavora per una organizzatissima agenzia turistica. Appoggiato al
fuoristrada aziendale, in camicia leggera e cravatta scura, pronto ad
accompagnarci a ritirare la nostra auto, ci racconta di sè, dell’Oman, dei
cambiamenti degli ultimi anni, di quanto sia stato fondamentale l’apporto
dell’ormai anziano Sultano, profondamente amato dal suo popolo.
Benché
l’Oman non sia il più ricco tra i paesi della Penisola Araba, i suoi abitanti
godono oggi di un buon tenore di vita, come testimoniano le auto di grossa
cilindrata lungo le strade e le gioiellerie sempre affollate, a Muscat
come nella piccola città fortificata di Nizwa, famosa per la vendita di oro ed
argento.
Attraversiamo
con Stanley il quartiere di Ruwi, uno dei più recenti della capitale, che sta
progressivamente estendendo i propri confini; qui la crescita economica è
percepibile in maniera ancora più sensibile. Grandi ed eleganti palazzi si
susseguono l’uno dopo l’altro in questa nuova area residenziale e commerciale.
Apprendiamo
che l’economia dell’Oman sta lentamente cambiando. In un paese dagli scarsi
giacimenti petroliferi, la pesca in primis così come l’agricoltura,
l’allevamento e le attività artigianali hanno sempre rappresentato le
principali risorse di questo piccolo sultanato nel fondo della penisola
arabica. Ma oggi la politica del paese è nel senso di una sempre maggiore
diversificazione che punta alla crescita degli scambi commerciali, anche grazie
al libero scambio con gli USA, e alla crescita di un turismo di qualità.
Pulizia,
ordine, cura per i dettagli. Fiori e prati all’inglese ovunque: distese di
petunie e di manti erbosi non solo nelle vicinanze delle istituzioni o dei
luoghi di culto o sul lungomare che si stende in otto chilometri di marmi e
mosaici, ma anche lungo le strade che si allontano dalla capitale per
addentrarsi poi tra le montagne o discendere lungo la costa.
Cantieri
fioriscono ovunque per la creazione di strade, ponti ed infrastrutture che
riflettono un gusto che mescola in equilibrio di grande raffinatezza
l’architettura tradizionale e i più moderni dettami di linearità ed
essenzialità.
La
cura che l’amministrazione dedica al proprio territorio riflette perfettamente
la via prescelta dal Sultano: rendere l’Oman un paese moderno, vivibile per i
sudditi e attraente per il turismo internazionale.
In
questo contesto gioca un ruolo importante anche la politica di rafforzamento
della tutela ambientale, uno degli aspetti fondamentali di questi ultimi
quarant’anni di sultanato. Il Sultano ha sempre sottolineato, infatti, la
necessità di proteggere le risorse naturali del paese e ha sempre sostenuto
campagne intese ad educare la popolazione ad una maggiore consapevolezza e
sensibilità a tematiche ambientali. Si pensi alla delicatezza dell’ecosistema
dei deserti dove gli accumuli di spazzatura – che a quelle temperature sono
sottoposti ad un processo molto rallentato di decomposizione e smaltimento – rischiano
di alterare un equilibrio sensibile anche ai più impercettibili cambiamenti.
La
crescita del sultanato, dunque, è anche crescita culturale e sociale, come
testimonia tra l’altro anche l’aumento del livello di scolarizzazione e
l’accesso – ormai anche da parte delle donne – ai livelli più alti
d’istruzione.
Le
donne: un tema delicato che inevitabilmente incuriosisce gli occidentali.
Nonostante
una presenza ancora forte di donne che, per scelta o per costrizione, indossano
il velo integrale, in Oman si registra una significativa differenza rispetto a realtà
profondamente conservative come, ad esempio, quelle dell’Arabia Saudita.
Camminando
per strada, entrando nelle sartorie dedicate alla moda femminile, percorrendo i
vicoli dei suq, ci incontriamo, ci urtiamo, ci scambiamo sguardi carichi di
curiosità, il mio viso libero da veli, loro nascoste dietro tulle neri che
lasciano intravedere appena lo sguardo. Le donne più conservative appaiono
schive, votate ad una naturale riservatezza e diffidenza, come se quel velo
nero fosse una barriera tra loro ed il mondo, ma se riesci a dimostrare che ne rispetti
la vita e la cultura, se ti mostri affabile e solidale allora lasciano intravedere qualche piccola crepa in quel muro e riesci a strappar loro un
sorriso, una parola.
Accanto
a questa fetta più tradizionalista, vi è un gran numero di donne che sceglie
uno stile di vita più moderno, che non porta il velo o che si limita a coprire i
soli capelli. Generalmente si tratta di giovani ragazze che hanno avuto accesso
ad un più elevato grado di istruzione, che lavorano, viaggiano e vivono a
contatto con culture di ogni tipo. Appaiono più aperte al dialogo, come la
collega di Stanley, una ragazza sui trent’anni, gli occhi scuri carichi di brio
e vitalità. Vede la patente di
guida tedesca, ci racconta del suo viaggio a Berlino, ci chiede di noi, dei
nostri programmi. E’ simpatica, socievole e, come molti Omaniti, ha voglia di scambio
culturale.
Dai
suoi racconti scopriamo che nel piccolo sultanato, le donne godono di libertà
ed indipendenza, più di quanto si possa immaginare. Studiano, lavorano, votano,
guidano l’auto, amano ballare, escono con le amiche.
Nei
tatuaggi e le unghie laccate, negli occhi magistralmente truccati, nei lembi di
stoffa dalle tinte vivaci e luccicanti che si intravedono sotto i veli e gli
abiti neri, cogli un universo fatto di colori, di vita, di vanità. Certo, questo
stona con la forte separazione spaziale che vige nei luoghi pubblici, stona con
l’eccessivo senso di “privacy” cui è ancora improntata la vita di molte di loro.
Ma quel che si coglie, parlando con la gente del luogo, è che qualcosa stia
cambiando; che, ferme le solide radici della cultura tradizionale, la
popolazione femminile è orientata ad affermare sempre più i propri diritti
costringendo anche i più conservatori a fare i conti con la modernizzazione
culturale del paese.
Ma
qual è il ruolo dell’Islam in questa terra?
L’Islam
è e resta la guida di questo popolo, ne impregna la cultura, ne scandisce la
vita quotidiana, con i suoi sacri principi che spingono al rispetto, alla pace,
alla giustizia e che trovano traduzione nella profonda ospitalità, nella
genuinità e nell’altruismo che contraddistingue gli omaniti.
Benché
sia la religione prevalente, in questa regione della penisola arabica, l’Islam convive
pacificamente con altre numerose religioni: il cristianesimo, l’induismo, il
sikhismo, il buddhismo, il giaismo e via seguitando, che si sono diffuse per la
massiccia presenza di stranieri.
Gli
immigrati provengono principalmente dall’India come il nostro nuovo amico
Stanley, ma nel nostro viaggio incontriamo uomini provenienti anche dal
Bangladesh, dal Beluchistan, dal Pakistan e dall’Africa; i più lavorano nella
ristorazione o sono impiegati nelle attività manifatturiere.
Ci
fermiamo a chiacchierare con alcuni di loro; tutti ci concedono una piccola
intervista e, fieri, si lasciano ritrarre in fotografia.
Ci
spiegano che la politica del sultanato è nel senso di garantire lavoro ed
integrazione agli immigrati e che ciò attira un numero sempre maggiore di stranieri.
Benché molti siano meno fortunati del nostro amico Stanley e siano costretti a
lavori più umili e faticosi per stipendi più bassi rispetto a quelli degli
Omaniti, giudicano comunque buone le loro condizioni di vita.
Molti
lasciano le loro famiglie nel paese d’origine, trascorrendo la maggior parte
dell’anno in Oman. I più finiscono col
trascorrere quasi tutta la propria vita lontano da moglie e figli; i pochi
fortunati riescono a rientrare stabilmente a casa dopo cinque, dieci anni di
lavoro e quando incontri uno di loro, vedi il viso distendersi in un sorriso,
lo sguardo illuminarsi di gioia, fiducia, di un senso di vittoria.
Omaniti,
indiani, Beluchistani, Pakistani, Nigeriani. Popoli diversi, lontani nella
cultura, nella religione, nelle tradizioni, ma tutti vicini nel desiderio di
conoscersi, capirsi e vivere in armonia.
E
così ti ritrovi seduto in un capanno di barasti, adagiato su tappeti e cuscini
dalla caratteristica fantasia rossa e nera, il solo sottofondo musicale dello
Uit beduino a cullare il silenzio del deserto, mentre bevi thé in compagnia di
uomini provenienti da tutto il mondo e ti senti come fossi a casa.
In un Medio
Oriente che sa di pace, di rispetto, di vita.
Per visualizzare il Reportage Fotografico completo realizzato da Andrea Sanfilippo, è possibile visitare il seguente link: "A Tale of Modern Oman".
Per visualizzare il Reportage Fotografico completo realizzato da Andrea Sanfilippo, è possibile visitare il seguente link: "A Tale of Modern Oman".
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