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Andrea scorreva rapido il giornale come ogni mattina, mentre sorseggiava il suo consueto caffè nero senza zucchero, quando fu colpito da una notizia: Jörg, figlio di un alpinista di fama mondiale, avrebbe scalato di lì a poco l’invincibile parete Nord dell’Eiger in solitaria, senza imbraghi e corde di sicurezza. Fino a quel momento nessuno aveva osato tanto.
Andrea aveva conosciuto Jörg alcuni anni prima in occasione di un’altra nota impresa di un alpinista italiano ed erano rimasti successivamente in contatto.
Quando la redazione della rivista per cui lavorava gli propose di seguire l’ascensione in diretta non ebbe esitazione e partì subito per Grindelwald.
Jörg era schivo e rifuggiva qualsiasi contatto, in particolare con i giornalisti e gli altri alpinisti che nelle ultime settimane l’avevano accusato di follia, egocentrismo e superficialità. Rivedere Andrea in quell’ambiente ostile fu per lui un sollievo, si ritrovarono con la gioia di due vecchi amici e trascorsero insieme i giorni antecedenti l’impresa.
La notte precedente la scalata, i due ragazzi sedevano in silenzio all’esterno della guesthouse alla base del ghiacciaio. Il cielo era limpido e si riuscivano a scorgere nitidamente le stelle; le cime bianche dell’Eiger, del Mönch e della Jungfrau erano illuminante dalla luce della luna nuova. Sotto quella luce sembravano così imponenti, maestose, regali. Ma non facevano paura, l’Orco non sembrava meritevole della sinistra fama di ghiacciaio assassino. Ispirava rispetto come solo la montagna sa fare. E loro erano lì, assorti in quella sensazione di pace e di calma.
Jörg ruppe il silenzio. “Tutti mi chiedono perché lo voglio fare. Mi hanno dato del pazzo, del fanatico, dell’eroe. Ma non è per questo che lo faccio. Io non devo dimostrare niente a nessuno; non ho bisogno di catalizzare l’attenzione, di sentirmi dire 'bravo' e tantomeno mi spinge il desiderio di eguagliare o surclassare mio padre. Per me, Andrea, la montagna non è un oggetto e scalare non è un mezzo di affermazione. Non c'è nessun luogo e nessun momento al mondo in cui mi senta libero come nelle ore trascorse sulla roccia nuda o tra i ghiacci. Ti stanchi, corri dei rischi, a volte ti fai anche male, ma la sensazione che provi ogni volta che scali una parete è davvero insostituibile.”
“Capisco le tue sensazioni, le vivo anche io da alpinista, ma non capisco perché spingersi sino al punto di rischiare la vita. L’Eiger è sempre stato il sogno di tutti e anche io desidero scalarlo, ma se già è così pericoloso farlo in sicurezza, perché hai deciso di andare così oltre? Perché farlo in solitaria?”
“Perché in quel momento ti senti completamente libero; ci sei tu e c’è la parete che stai scalando, senza legacci, senza impedimenti. Immagina di correre su un prato con delle corde che ti trattengono e poi, improvvisamente, sentire le corde che si sciolgono, le gambe e le braccia libere… scalare in solitaria ti dà la stessa sensazione, lo stesso slancio vitale. E’ difficile da spiegare ma mai come in quei momenti avverto un senso di completezza. Ti senti davvero parte della parete, come fossi una sua naturale appendice. Non hai paura, senti che non può accaderti nulla. Sei pervaso da un senso di profonda fiducia. Fiducia nella montagna, fiducia in te, nei tuoi piedi e nelle tue mani. E conta solo quello. Scali sentendo solo il rumore del vento e dei tuoi battiti. E quando arrivi in cima, non è il senso di vittoria sui pericoli della natura quello che provi. E’ un senso di calma infinita, di appagamento, di pienezza.”
“Ma non è anche un modo per dimostrare a te stesso che ce la puoi fare? Non c’è una componente di sfida o di vanità?”
“Vanità senz’altro no. Una componente di sfida c’è ma non con la natura. La montagna non è da sfidare e sconfiggere. La montagna va rispettata e approcciata con umiltà. L’errore di molti alpinisti è quello di non rendersi conto di questo e da ciò derivano anche molti incidenti. L’uomo ha sempre avuto la cieca e ottusa presunzione di poter fare della natura ciò che voleva ma, ripeto, il rapporto così impostato è sbagliato. Perderai sempre. Devi sapere quando fermarti. Devi sapere quando tornare indietro, quando rinunciare. Non devi mai sottovalutare i segnali che la montagna ti dà e devi accettarli. Io amo scalare più di ogni altra cosa al mondo ma la vita non vale una montagna. La sfida, sai Andrea, è un’altra e forse anche per te è così: la sfida è con te stesso. Ma non nel senso di voler dimostrare di essere il più bravo, il più resistente ed il più forte di tutti. La sfida è con la tua paura e la tua umanità. Scalare ti aiuta a conoscere te stesso, a misurare le tue capacità, a valutare le tue attitudini e a superare i tuoi limiti. Ti aiuta a crescere e a raggiungere una maggior consapevolezza di te. E questo ti aiuta in montagna come nella vita di tutti i giorni. In montagna ti consente di ottenere risultati che prima ti sembravano irraggiungibili; nella vita di tutti i giorni ti fa capire qual è la tua posizione nel mondo, ti dà una maggiore capacità di concentrazione sugli obiettivi, maggiore sicurezza e, per certi aspetti, anche maggiore leggerezza nell’affrontare le cose. Impari a dare il giusto peso a tutto. Ci sei tu e lo senti, ti senti in ogni cellula, in ogni pensiero e sai che non potrai perderti mai.”
“Perché proprio l’Eiger?” chiese Andrea.
“Perché lo sogno fin da quando ero bambino. In Austria come in Italia ci sono decine di montagne meravigliose, ma la prima volta che l’ho visto ho sentito che volevo scalarlo. E tre anni fa l’ho scalato per la prima volta; negli anni successivi ho percorso diverse vie, ma la Via Heckmair è rimasta nel mio cuore. E’ una via intensa, piena di vita, senti la roccia pulsare ad ogni movimento. Il passo dallo scalarla con le corde a volerla vivere in solitaria è stato breve. L’ho desiderato subito e non mi son tolto più quel pensiero dalla testa fino a qualche mese fa, quando ho sentito che quel momento era arrivato, che ero pronto per poterlo fare. L’età giusta, la giusta preparazione fisica e mentale.”
“E tuo padre cosa ne pensa? Ha glissato con la stampa.”
“Sì, alla stampa si è limitato a dire che era una mia scelta e che ogni alpinista è responsabile delle proprie decisioni. A casa abbiamo discusso, ad un certo punto abbiamo anche litigato. Mi ha detto che era una pazzia, ma lo ha detto solo perché sono suo figlio. In cuor suo, lo so che ha capito, che ha capito le ragioni che mi hanno spinto ad affrontare questa impresa. So che è spaventato come lo sarebbe qualsiasi genitore, forse anche di più; ma quella parete l’abbiamo scalata insieme e sa che ce la posso fare.”
Quel momento di confidenza lasciò ad Andrea una sensazione positiva. Tuttavia aveva bisogno di capire meglio quel ragazzo introverso e aveva bisogno di guardare oltre l’apparenza di una sfida che sapeva di superbia.
Andarono a dormire.
La notte Andrea non chiuse occhio e all’alba sgusciò dalla sua camera. Uscì all’esterno e rimase senza fiato nel guardare il panorama che gli si stendeva davanti. Il bianco delle cime riluceva nell’aria leggera e nei colori delicati di quelle prime ore del mattino.
Dopo poco anche Jörg si alzò, lo raggiunse e si salutarono silenziosamente con un cenno del capo. Il momento era quasi arrivato. L’aria era densa di emozione, adrenalina, timore.
I primi giornalisti cominciarono ad arrivare, le prime videocamere si accesero ad immortalare il paesaggio.
Jörg in breve fu pronto per la partenza, era calmo e concentrato. Lanciò all’amico giornalista uno sguardo carico di energia e fiducia; quella stessa fiducia di cui gli aveva parlato il giorno precedente.
Andrea si posizionò dove meglio poteva seguire l’ascensione.
Jörg attaccò dalla variante a destra del Primo Pilastro, procedendo velocemente per i primi corti gradini, le cenge e i canali sino al Pilastro spezzato.
E da qui il traverso orizzontale verso destra sino all’inizio della Fessura Difficile e poi sempre più velocemente verso l’alto, attraverso i passaggi chiave: le lisce placche del Traverso di Interstoisser, il bivacco del Nido di rondine e subito dopo il primo ed il secondo Nevaio.
Jörg saliva spedito con i soli ramponi e le piccozze. Era veloce, fluido, caparbio.
Superò agevolmente il Ferro da Stiro ed il Bivacco della Morte così chiamato per la tragedia del 1935 in cui due alpinisti tedeschi colti dal maltempo vi persero la vita. Superò poi il Terzo Nevaio. Proseguii oltrepassando i punti successivi sino alla Traversata degli Dei procedendo poi, in orizzontale, fino al Ragno Bianco. Andrea ricordava bene la fama di quel punto e i pericoli che in quel punto non avevano risparmiato numerosi alpinisti in passato.
Jörg ne fu velocemente fuori superando il tratto più esposto, ma improvvisamente una scarica di sassi scese dall’alto sfiorandolo.
Andrea chiuse gli occhi, un silenzio di morte calò alla base del ghiacciaio e gli sembrò che il tempo si fermasse. Dopo interminabili istanti un urlo di gioia si levò nell’aria, riaccostò il viso al binocolo e vide Jörg in salvo; una minuscola cengia sopra di lui lo aveva protetto dall’impatto con i massi più grandi.
Andrea sentiva il cuore pulsare con forza, i battiti accelerati dall’ansia e dall’adrenalina. Jörg riprese senza ombra di esitazione la sua corsa sul ghiaccio, una piccozza avanti l’altra, dritto fino alla luminescente fessura di quarzo.
La parte più rischiosa era superata.
Il giovane alpinista proseguiva ormai inarrestabile su per i Camini terminali, lungo l’affilata e instabile cresta di neve tra le pareti Nord e Nord Est.
Mancava pochissimo. Un piccolo errore sarebbe stato fatale, ma Andrea non voleva e non poteva pensare in negativo.
L’obiettivo era vicino, l’impazienza cresceva.
Jörg raggiunse il Nevaio Finale e poi la Mittellegigrat, affondando pericolosamente nei cumuli di neve fresca. La fatica stava prendendo il sopravvento, arrancò, cadde ma in un guizzo di energia fu di nuovo in piedi.
Andrea tratteneva il respiro.
Mancavano pochi metri, vide Jörg cadere ancora ma veloce rialzarsi e in un’ultima stremata corsa conquistare la vetta. Ce l’aveva fatta, era in cima!
Lo vide esultare con le braccia alzate.
Intorno ad Andrea si levò un urlo liberatorio. Un clima di festa e di gioia si diffuse tra la folla di giornalisti e curiosi che si erano accalcati per assistere all’ascesa.
Quando Jörg rientrò alla base era davvero raggiante. Suo padre che fino a quel momento era rimasto in disparte, gli corse incontro e lo strinse orgoglioso.
Fu davvero un’esperienza meravigliosa, non solo perché Andrea poté raccogliere la testimonianza di un’impresa significativa a livello alpinistico, ma anche e soprattutto perché gli aveva fornito un punto di vista d’eccezione da cui guardare il rapporto uomo-montagna. In un ambiente in cui troppo spesso la competizione diventa l’elemento preponderante e la montagna un mero terreno per dimostrare la propria bravura, questo ragazzo, con il suo approccio schivo e umile, aveva regalato una nuova prospettiva al mondo dell’alpinismo ed aveva altresì mutato la fama di quel ghiacciaio: imponente, temibile, ma non più irraggiungibile e mortale.
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